Month: agosto 2013

Il sogno dell’e-commerce facile

L’e-commerce costituisce un’affascinante prospettiva per molte piccole imprese: consente di vendere potenzialmente in tutto il mondo, senza sostenere i costi di gestione di una normale attività commerciale.

Eppure, prima di avviare un’attività di e-commerce bisognerebbe fare una riflessione seria, per non andare incontro a errori e fallimenti.

Per vari motivi.

1. Se è vero che un negozio on-line ha meno costi di affitto di un negozio tradizionale, va tenuto conto che mentre in quest’ultimo il cliente entra, e quando compra si porta via la merce, nell’e-commerce il cliente deve essere trovato e, quando compra, la merce gli va recapitata a domicilio, con tutti i costi di trasporto del caso e i rischi di possibili disguidi nella spedizione, di rotture della merce (si pensi a bottiglie di vino o a oggetti in ceramica), mancati ritiri e restituzioni della merce (peraltro garantite dalla legge sulla tutela del consumatore). Dal punto di vista amministrativo, poi, è più facile battere uno scontrino fiscale, piuttosto che redigere una fattura da inserire nel pacco della merce.

2. L’e-commerce offre grandi possibilità di vendere lontano, e in particolare di vendere all’estero. Però questo non significa che sia sufficiente tradurre il sito in inglese o in altre lingue. Del paese estero occorre conoscere le normative, conoscere il potere di acquisto per fissare prezzi che non necessariamente devono corrispondere al prezzo applicato in Italia, conoscere la mentalità dei potenziali clienti, sapere quali sono le strategie promozionali più efficaci, sapere quali sono i concorrenti locali.

3. Se l’impresa di e-commerce non vende merce propria (come avviene ad esempio per un artigiano), dovrà approvvigionarsi presso dei fornitori. Molte persone sono affascinate dall’idea del dropshipping, cioè dal fatto che la merce possa essere acquistata dal fornitore solo una volta che sia stata venduta e che il fornitore stesso la recapiti al cliente, senza quindi che l’impresa di e-commerce abbia un magazzino o debba sopportare rischi di invenduto.  Non è facile però, come piccoli commercianti, trovare dei fornitori disposti a fare un servizio simile, e quindi a sincronizzarsi perfettamente con l’e-commerce. Si rischia di fare aspettare il cliente troppo a lungo o addirittura di comunicargli che la merce è finita.

4. Come un negozio tradizionale deve sapere allestire la vetrina, studiare le promozioni, curare il rapporto con il cliente, stare molto attento a non lasciare invenduti i prodotti, lo stesso sostanzialmente avviene anche in un e-commerce. Per essere interessante, un sito deve cambiare frequentemente e contenere proposte promozionali interessanti, convenienti sia per il cliente che per l’azienda. La relazione con il cliente, anche se il rapporto non è così ravvicinato come in un negozio, è comunque molto importante, o forse ancor più importante, perché non ci si vede in faccia e la diffidenza del cliente può essere maggiore. La gestione delle scorte e una rapida rotazione delle scorte non è meno importante che nel negozio tradizionale.

5. La concorrenza on line, anche se ciò dipende da settore a settore, è molto agguerrita e per essere notati dai clienti bisogna sapersi differenziare con efficacia. Si dovrà quindi investire nella qualità del sito, nel design, nel marketing e nella visibilità sui motori di ricerca.

6. Per farsi conoscere un e-commerce ha comunque bisogno di tempo. Ci vuole tempo per costruire delle mailing list, per farsi conoscere dai motori di ricerca, per scalare le classifiche con le parole chiave più efficaci, per raggiungere cioè un numero di visitatori rilevante. Se in negozio tradizionale si può dire che ogni 10 clienti che entrano almeno uno compra, in un sito Internet il rapporto tra visitatori e clienti è almeno di 1 a 100, se non molto superiore.

Per farsi conoscere occorre tempo, ma anche denaro. Quel denaro risparmiato nelle spese per l’allestimento del negozio sarà necessario per garantire un’adeguata visibilità al sito di e-commerce. Non a caso Google è una delle aziende più ricche del pianeta.

 

http://www.genesis.it/pubblicazioni-libri1.htm

Opportunità e necessità nella scelta di mettersi in proprio

La distinzione tra quelle persone che diventano imprenditori “per necessità” e quelli che lo fanno per cogliere una opportunità è stata messa a fuoco da diversi anni dagli studiosi di nuove imprese.

Essa però diventa di grande attualità nella crisi attuale, in quanto oggi la schiera delle persone spinte dalla disoccupazione a cercare nuove strade lavorative aumenta notevolmente.

I “necessity entrepreneurs” sono stati definiti come quelli che sono disoccupati e non hanno altre speranza di lavorare che non mettendosi in proprio (Global Entrepreneurship Monitor, Reynolds et alii, 2002).

Viceversa gli “opportunità entrepreneurs” sono quelli che non sono mossi da un bisogno immediato, ma compiono la scelta imprenditoriale, dimettendosi dal lavoro precedente, per cogliere una opportunità ritenuta preferibile rispetto ad altre opzioni di carriera.

Tra le due tipologie di imprenditore, secondo la letteratura, non vi sono significative differenze di genere; inoltre non si riscontra una diversa propensione al rischio.

Sono invece diverse le modalità e gli esiti.

L’imprenditore per opportunità sceglie normalmente il momento più opportuno per mettersi in proprio, prima di prendere una decisione valuta anche con esperti la fattibilità del progetto e il campo dei possibili rischi, preparandosi alla futura avventura anche tramite consulenze e corsi di formazione. Inoltre mette a frutto maggiormente la sua esperienza e il suo patrimonio di conoscenze acquisito in precedenza.

Gli imprenditori per opportunità hanno un controllo maggiore del loro destino e del loro capitale umano.

L’imprenditore per necessità al contrario è costretto a decidere in fretta; le valutazioni della fattibilità e del rischio devono essere fatte più velocemente; se non vengono fatte, anche per risparmiare risorse, ciò espone inevitabilmente a rischi più elevati, dovuti alla inesperienza e alla scarsa conoscenza del nuovo settore.

Proprio questo tipo di imprenditore, che si porta dietro un minore bagaglio di conoscenze e di esperienza e che si trova spesso ad affrontare un settore che non conosce, avrebbe invece maggiormente bisogno di consulenza e formazione.

Non è un caso quindi che, come è stato studiato, l’imprenditore per necessità finisca per guadagnare meno di un lavoratore dipendente dello stesso settore; un basso reddito è comunque meglio di restare disoccupati.

Al contrario l’imprenditore per opportunità finisce spesso per guadagnare di più di un lavoratore dello stesso settore.

 

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