Month: Maggio 2016

Avanti, oltre Google Glass

Il progetto dei Google Glass, come noto, si è concluso con un fiasco. Il mercato dei consumatori disposti a spendere cifre significative per montare occhiali capaci di integrare la visione di oggetti reali, con elementi virtuali si è rivelato così ristretto da non ripagare, non solo gli enormi costi di ricerca, quanto persino i costi di distribuzione.
Il sasso tecnologico però era lanciato, e con maggiore sagacia commerciale, altre imprese hanno capito le potenzialità di uno strumento come gli occhiali a realtà aumentata, questa volta però non rivolti al mercato di massa, ma a mercati iper-specializzati.
In fondo Google, come tanti player americani (come Microsoft e Facebook), è fortissima nei mercati di massa, ma molto più debole nei mercati specializzati su nicchie settoriali, dove speso imprese europee e giapponesi sono nettamente superiori.
Così ad esempio la tedesca Siemens ha sviluppato degli Smartglass da fare indossare ai tecnici della manutenzione di linee elettriche e delle cabine ad alta tensione: nell’occhiale scorrono informazioni sulle operazioni tecniche da compiere passo dopo passo, per non correre rischi ed essere precisi ed efficienti.
Le giapponesi Epson, Toshiba, Sony e Fujitsu, ma anche la francese Schneider Electric sono impegnate su sentieri analoghi.
L’occhiale intelligente può contenere anche montare sistemi di geolocalizzazione e anche software per la decodificazione di immagini.
Quindi l’occhiale intelligente non è più strumento di svago, ma potrebbe diventare un mezzo di lavoro altamente specializzato, nella fabbrica del futuro (la cosiddetta “Fabbrica 4.0): un progresso salutare.

Il nuovo problema tedesco: un dibattito all’Università di Modena

La probabile crisi greca e i nuovi scricchiolii della costruzione europea rendono quanto mai attuale capire dove l’Europa sta andando, per la influenza dominante della Germania.
Il Dipartimento di Economia dell’Università di Modena ha organizzato per il 9 maggio un dibattito sul tema “L’Europa ha di nuovo un problema tedesco?”, i cui relatori saranno il sottoscritto (autore del libro “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016) e il prof. Gabriele Pastrello, autore del libro ”La Germania: il problema d’Europa?”, Asterios editore, 2015.
LINK al sito:
http://www.biblioeconomia.unimore.it/site/home/avvisi/articolo117034214.html

I due libri in realtà sono piuttosto in sintonia, anche se si differenziano per alcuni aspetti.
Gabriele Pastrello è molto attento alle origini del pensiero economico tedesco di oggi, che fa risalire alla visione del cosiddetto Ordiliberalismo, un filone di pensiero formatosi negli anni Trenta con gli scritti di Eucken, Boehm e Dorth. Un pensiero che cerca di tenere insieme la libertà di mercato con un forte ruolo dello Stato, che deve fornire una cornice di istituzioni giuridiche, sociali e di istruzione molto solide, senza però dimenticare mai il problema dell’equilibrio di bilancio.
L’ordoliberalismo, che ispirò i primi governi del dopoguerra di Adenauer ed Erhard, continuò poi con Kohl fino ad arrivare ai Merkel e Schauble di oggi, che mantengono un esteso sistema sociale ma cercano di imporre all’Europa la loro visione dell’equilibrio finanziario, fino a strangolare paesi deboli come la Grecia.
Da parte mia, pur concordando ampiamente con la ricostruzione di Pastrello, cerco di vedere nel mio libro l’intreccio tra le ideologie e l’economia reale.
Parlo di “ideologie” al plurale in quanto nella Germania attuale si mescolano all’ordoliberalismo altre culture, in primo luogo quella socialdemocratica e quella ambientalista.
Senza lunghi periodi di governo socialdemocratico non ci sarebbe oggi un welfare esteso come quello tedesco oppure la co-gestione nelle grandi aziende; d’altra parte, senza i grandi movimenti ambientalisti e la presenza dei Verdi al governo alla fine degli anni Novanta la Germania non sarebbe diventata leader mondiale nelle energie rinnovabili, e la stessa Merkel non avrebbe ammesso che la strada dell’energia nucleare doveva essere abbandonata per sempre.
Ciò che è cresciuto al centro dell’Europa è un colosso che ha saputo costruire una economia molto competitiva, con ricette originali, impensabili ad esempio in Italia: investire nella formazione e nella ricerca, alimentare il consenso sociale, evitare dannose avventure neo-coloniali (come quella italiana in Libia), costruire rapporti privilegiati con paesi emergenti come Cina e Brasile.
Il colosso tedesco ha saputo poi approfittare del crollo del Muro di Berlino, soprattutto perché in questo modo la Germania ha potuto investire nei paesi dell’Est, non solo con impianti industriali, ma anche con catene di supermercati, servizi postali, banche, assicurazioni, reti ferroviarie, e rilevando la parte migliore degli impianti pre-esistenti (ad esempio la Skoda).
La forza che la Germania ha saputo sviluppare fin dagli anni ’80 ha però completamente squilibrato l’architettura europea, ed è in fondo alla base dei problemi europei attuali.
L’Europa è sempre più un continente con forti differenze al suo interno, dove c’è un paese centrale e tanti paesi periferici, più o meno lontani dal centro. L’Italia o la Francia non sono certo la Grecia, ma come quest’ultima devono subire la forza predominante della Germania.
Le decisioni prese a livello europeo sono tali da ampliare il solco tra paesi forti e paesi forti. Impedire allo Stato di intervenire con piani di spesa pubblica per contrastare la crisi (come del resto fatto abbondantementa dagli USA di Obama) significa aggravare la crisi sociale dei paesi più deboli, facendone chiudere le attività economiche e quindi addirittura diminuirne la capacità di restituire i debiti.
Dire che l’unica strada consentita per rilanciare l’economia è quella dell’export significa fare l’interesse dell’unico paese che ha un volume tale di esportazioni (la Germania) da potere trainare l’intera economia. Per gli altri paesi, con un export minore, si tratta di una ricetta illusoria.
Continuare a negare potere decisionale al Parlamento europeo significa pretendere che il potere decisionale rimanga nelle mani dei governi, e quindi di quello che sa imporsi agli altri negli accordi di vertice. Il voto di un cittadino italiano continuerà a pesare meno del voto di un cittadino tedesco.
Da alcuni anni la Germania si rafforza e acquisisce pezzi pregiati dell’economia di altri paesi (in Italia ad esempio Ducati Motors e Italcementi); la sua disoccupazione è su livelli minimi mentre negli altri paesi raggiunge livelli record. Molti giovani ad alta specializzazione si trasferiscono in Germania, impoverendo il loro paese di origine.
Si può andare avanti così? In quale modo ripensare le regole di Maastricht per renderle più eque e accettabili da tutti i paesi europei?
Quella di Modena sarà certo una discussione interessante.