L’esito delle elezioni per l’Europarlamento forse riuscirà a determinare cambiamenti decisivi nelle politiche della Unione e in particolare della zona Euro.
Soprattutto da Parigi viene un voto di protesta che fa tremare le fondamenta della costruzione europea, da sempre basata sull’asse franco-tedesco.
“Così non va!”, sembrano dire con forza gli elettori di Francia, Grecia, Spagna e in parte di altri paesi più adattivi, come l’Italia.
La dissennata austerità, esclusivamente finalizzata alla stabilità finanziaria e al rafforzamento dell’Euro, nell’interesse del sistema finanziario e a detrimento di chi deve creare nuova ricchezza, in primo luogo le imprese, ha condotto nel vicolo cieco della stagnazione economica e della disoccupazione di massa. Pensare solo a tagliare la spesa e a tassare imprese e cittadini ha distrutto posti di lavoro e condotto paradossalmente all’aumento del debito pubblico, perché senza sviluppo cala il gettito fiscale e aumentano le spese sociali.
Per girare attorno ai problemi, senza risolverli, negli ultimi anni in Italia ne abbiamo sentite di tutti i colori: dall’austerità “espansiva” che avrebbe dovuto incentivare le imprese ad investire (Monti), al taglio dei salari che avrebbe attirato imprese dall’estero (Fornero), ai tornelli che avrebbero aumentato la produttività dei dipendenti pubblici (Brunetta), ai falò di leggi che avrebbero semplificato la vita amministrativa (Calderoli), alla vendita su e-bay di alcune decine auto blu per raddrizzare il deficit pubblico (Renzi).
L’Eurozona è come un’automobile con freni forti e un motore debole: molto stabile e sicura ma quasi ferma. Questo mentre i concorrenti vanno fortissimo (Cina) o hanno ripreso a correre (Giappone, USA), grazie a politiche opposte a quelle europee.
Se si vuole evitare la fine dell’Euro bisogna cambiare radicalmente rotta. I trattati europei vanno cambiati: la quotazione dell’Euro va pilotata verso il basso, gli assurdi parametri auto costrittivi di Maastricht e del fiscal compact vanno rivisti, la BCE (ch predica continuamente riforme per gli altri) deve essere riformata per assegnarle (come avviene per le altre grandi banche centrali) non solo l’obiettivo della stabilità monetaria ma anche quello della piena occupazione.