Cosa cambia nel mondo per l’economia europea, e per tutti noi

Le cose intorno a noi cambiano velocemente, e occorre tenerne conto.

Le due colonne portanti della Unione Europea, Germania e Francia, stanno vacillando. La Germania paga e pagherà duramente, e noi Italia come suo indotto, la crisi russo-ucraina. Il rapporto che era stato costruito pazientemente nel dopoguerra (energia in cambio di tecnologia, in un clima di pace), con la Unione Sovietica prima e con la Russia poi, si è gravemente incrinato, come è noto. L’Europa, che con le sue sanzioni avrebbe dovuto “ridurre la Russia a un paria” (tipica espressione del colonialismo), sia subendo conseguenze pesanti su diversi settori, dall’automobile ai macchinari industriali al turismo.

A questa triste vicenda, che dura ormai da un anno è mezzo, si è aggiunta recentemente quella del Niger, con l’estromissione del governo legato alla Francia, e con la radicale contestazione delle politiche di presidio post-coloniale dell’economia, attraverso il Franco CFA (“Colonie Francesi d’Africa”, poi diventato “Comunità Finanziaria Africana”) gestito da Parigi, le esclusive sulle estrazioni di minerali, le priorità alle aziende nell’affidamento delle commesse pubbliche, nella gestione delle risorse.

Delle due vicende, quella che ha un’impronta strutturale è proprio questa. La Francia, brillante potenza capace di subire relativamente il mercato petrolifero, grazie alla sue centrali nucleari, si trova in prospettiva a dipendere da forniture di uranio (per le centrali nucleari) provenienti dal Niger che non controlla più, o in alternativa dalla Russia, secondo grande produttore mondiale.

Difficile fare retrocedere le intenzioni anti-francesi di diversi stati africani. E’ vero, il panafricanista Gheddafi ci aveva provato e finì molto male. Però dalla liberazione dell’Algeria fino a quella del Sudafrica di Mandela, passando per le rivoluzioni in Angola e Mozambico, l’Africa sta cambiando e sembra che ci sia sempre meno spazio per le potenze ex-coloniali. Il movimento sembra irreversibile e produrrà nuovi equilibri, coinvolgendo anche Cina e Russia.

Sul fronte russo-ucraino, dove l’opinione pubblica è paradossalmente più eccitata, i movimenti sembrano invece meno profondi. Il legame col petrolio e il gas russo a basso costo interessa tutta l’Europa, non solo la Germania o l’Italia, persino la Polonia e l’Ucraina. La Polonia ha una industria dipendente da quella tedesca e se vuole crescere deve potere contare su fonti energetiche a basso costo. L’Ucraina, che ormai ha perso le miniere e l’industria del Donbass, se vuole uscire dallo status di paese agricolo, deve fare i conti con queste variabili.

Certo, è un rapporto che non piace agli USA. Ma quante cose non piacciono agli USA: dall’Euro al primato di Airbus su Boeing. Gli stessi USA, però, non possono permettersi di sgretolare il grande conglomerato manifatturiero dell’alleato europeo, formatosi nei secoli a partire dal lontano medioevo, e di cui anche l’industria americana è stata figlia a partire dall’800.

A meno di non volere regalare la manifattura all’altro grande polo mondiale, la Cina, “fabbrica del mondo” sempre meno esecutrice di commesse di basso valore e sempre più leader in molti settori. Cina che ogni anno, tanto per mandare un messaggio eloquente, laurea ogni anno un milione di nuovi ingegneri, contro i 60 mila della Germania e i 300 mila degli Stati Uniti.

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